– ROMA, 06 MAG – Adolf Hitler si uccide tra alle 15,30 del 30 aprile 1945: i sovietici sono a pochi metri dal bunker di Berlino. Ma la Seconda guerra mondiale non finisce in quell’istante e il Terzo Reich non è ridotto al solo cortile della Cancelleria. Soprattutto, lo scettro non passa immediatamente nelle mani del grand’ammiraglio Doenitz, che poi metterà il sigillo sulla resa dei nazisti. Il nuovo cancelliere è Joseph Goebbels, il cantore del regime: gestirà il suo debole e allucinato governo, circondato dai carri armati nemici, per sole 30 ore. Poi si ucciderà anch’egli, insieme a tutta la sua famiglia. “Il Governo Goebbels” di Giovanni Mari (LINDAU, 220 pagine, 19 euro) accende il faro su quelle 30 ore e svela particolari sconosciuti ai più.
Goebbels, infatti, anche in quella lugubre giornata, non rinuncerà alla propaganda, infarcita di menzogne, e alla sua cultura di morte. Insieme a Martin Bormann proverà a tagliare le gambe agli altri gerarchi nazisti in fuga dalla capitale e a circuire Doenitz con messaggi contradditori o falsi. Il governo Goebbels proverà persino a trattare con i sovietici, inviando suoi parlamentari oltre le trincee che spaccavano la città e proponendo una tregua in grado di dar realmente vita al nuovo esecutivo, spostando la sede del gabinetto nel Nord del Paese.
Sul piatto, il neocancelliere mise la resa della Germania nelle sole mani dell’Urss, a scapito di Usa e Regno Unito.
Nel dramma, emergono le malate dinamiche all’interno del bunker orfano del Führer, i rapporti tesi tra la cricca nazista e il generale Weidling (l’unico che pretendeva la resa), i disperati tentativi di sortita e le ultime trame di Goebbels. La trattativa con uno scaltro generale Ciuikov, in quel contesto, divenne surreale e lo stesso Goebbels, messo in collegamento attraverso un pericolante cavo telefonico con il quartier generale sovietico, si dovrà arrendere al fallimento dandosi alla morte. .