(di Mauretta Capuano) – ROMA, 05 MAG – Confinamento, restrizioni, mascherine. Cosa hanno significato questi tre anni di pandemia e come ci hanno cambiati? “È stata un cesura forte che stiamo vivendo ancora, anche se nella fase finale. Credo che proprio per questo non siamo in grado di dire esattamente quanto e come ci abbia cambiati come società e come individui. Forse ci sarà bisogno ancora di una certa distanza per capire nel dettaglio la mutazione che la pandemia ha portato nel mondo” dice all’ANSA Donatella Di Pietrantonio, l’autrice premio Campiello 2017 de L’arminuta, diventato un film di Giuseppe Bonito, che sta lavorando a un nuovo romanzo in cui entra l’emergenza coronavirus che intanto è ufficialmente finita.
“Sicuramente sarà uno spartiacque, diremo ‘prima della pandemia e dopo la pandemia’. Mi faceva sorridere quando ci eravamo proprio dentro, all’inizio, e ci dicevamo ne usciremo migliori o peggiori” spiega la scrittrice che vive a Penne, in Abruzzo, dove continua a svolgere la sua professione di dentista pediatrica.
Un’altra cosa da tenere in grande considerazione per Di Pietrantonio è che “siamo abituati a massificare le conseguenze, invece bisognerebbe considerare quanto siano state diverse nelle varie classi di età” dice. “Se pensiamo ai bambini, con i quali lavoro come dentista, sicuramente il riflesso nelle loro vite è stato notevole. Sono cresciuti per tre anni in una condizione di relazioni alterate, con il volto degli adulti mascherato.
Coprire la bocca li ha privati di un aspetto importante della comunicazione emotiva. Negli adolescenti è stata devastante la deprivazione della vita sociale e ancora dovremo vedere gli effetti a distanza. Nell’immediato abbiamo visto tanti tipi di disturbi: alimentari, della socializzazione, intensificarsi sia come frequenza che come entità. Tanti adolescenti una volta cadute le restrizioni faticavano ad uscire di casa” racconta.
La scrittrice è rimasta anche molto colpita dalla reazione degli anziani che nel luogo in cui vive sono tanti e con i quali ha parlato molto. “Nonostante abbiano sofferto tantissimo perché per loro le restrizioni sono state più pesanti e più lunghe, essendo categorie fragili, tanti di loro mi dicevano: ‘vabbè, ma io sono sopravvissuto alla guerra, alle neve del ’56, al terremoto, alle immigrazioni, alla fame’. Qualcuno ricordava la spagnola. Avevano un atteggiamento da una parte resiliente, dall’altra di fatalismo, ‘supererò anche questo’ dicevano. Da questo punto di vista è stata più dura per le ragazze e i ragazzi, per gli adolescenti che non avevano esperienze di prove superate”. E la generazione di mezzo, “come può essere la mia, ha sofferto tantissimo proprio per la posizione di mezzo. Non solo abbiamo vissuto su di noi gli effetti della pandemia, ma ci siamo ritrovati anche a dover assistere gli altri su più fronti: sostenere i figli, i genitori anziani. Non potevano quasi permetterci di ascoltare la nostra sofferenza proprio perché dovevamo soccorrere gli altri. Tutte le fasce d’età hanno sofferto in modo diverso”. Ma la società come è cambiata? “C’è stato un aumento dell’aggressività, della violenza, del nervosismo. È come se si fosse molto abbassata la soglia di tolleranza. C’è una suscettibilità più superficiale, più pronta a esplodere”.
L’impatto sul mondo letterario quale è stato? “Credo che in vario modo l’esperienza della pandemia sia già entrata nella scrittura. A volte come sfondo, in altri casi più in primo piano. Poi ogni singolo scrittore fa le sue scelte, ma sicuramente negli anni a venire la troveremo nelle opere” afferma Di Pietrantonio. Nel libro a cui sta lavorando, ancora in fase di elaborazione, la pandemia “è presente già in una fase avanzata, non all’esordio. C’è come sfondo alle azioni e in qualche modo si trova all’interno della scrittura l’interrogativo su un possibile ruolo della pandemia in certi comportamenti di alcuni personaggi. Entra già come possibile causa di ciò che i personaggi portano nella storia” anticipa la scrittrice. .