di Luca Prosperi FULVIO SOLMS, ‘E VI CERCO ANCORA, (Edizioni Minerva, p. 242, 20 euro).
La memoria privata oscura la storia, ma quella pubblica ci allontana dalla stessa storia. Nel senso che quella degli individui è solo una delle componenti della sfera della memoria pubblica, che è da un lato influenzabile e dall’altro una ottima categoria interpretativa. E’ per questo che nel mare magnum delle pubblicazioni sulla Shoa in Italia il libro del giornalista ex Il Corriere dello Sport Fulvio Solms, ‘E vi cerco ancora, Edizioni Minerva, p. 242, 20 euro) arriva come un uppercut potente a stendere ogni tentativo di far predominare l’uso pubblico di quella memoria privata. Dalla propria vicenda personale Solms fa Storia con la S maiuscola perchè secondo lui non c’è una Shoah con 6 milioni di ebrei sterminati, ma 6 milioni di singole Shoah che ‘devono’ essere ricordate per andare oltre ogni banalità del male e delle cifre.
La trama del saggio-racconto in sé è semplice: il padre di Fulvio Solms, Werner-Marco, è un ebreo tedesco che fugge dalla Germania nel 1933 e approda in Italia. A Berlino lascia i genitori che, benestanti borghesi proprietari di una fabbrica a Stettino, alla fine finiscono nel gorgo della Shoah nel 1942 a Chelmno in Polonia. Fulvio nasce romano, cristiano e cresce consapevole della fine dei nonni al fianco del padre ormai italianizzato e famoso giornalista: anche lui che come tutti i ‘reduci’ alterna silenzi drammatici e confessioni smozzicate. E infatti in un passaggio Fulvio dirà: “Oggi drammaticamente realizzo quanto la fatica di tenere viva la memoria sia direttamente proporzionale al non detto”.
Da qui la marcia all’indietro nella memoria del figlio che riferendosi al padre scampato alla Shoah afferma ” Lui protagonista di una storia, io archeologo: può andare bene anche così”. E qui prende vita un entusiasmante e difficile ricerca delle tracce di questi due nonni che sembravano perse, della loro storia personale, dal giorno del prelievo da parte della Gestapo a casa fino alle fosse comuni del campo di concentramento. E che tutto il libro sia un omaggio a quel processo di trasformazione della memoria privata in storia lo si capisce anche da uno dei metodi usati: “La rete internet compie una piccola magia: consente alla memoria storica di abbandonare la sua naturale postura difensiva, tutta orientata al passato”, e che compie nel libro lo straordinario effetto di trasformare la memoria privata elemento di una memoria pubblica in vero atto di accusa storico, quindi inoppugnabile. Come ha detto S.Agostino ‘Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta’, e per questo Fulvio Solms confessa di aver “dovuto lavorare su me stesso solcando un sottile senso di colpa”, che è una eredità non esplicita che deriva dal padre ma che a differenza di lui lo porta ad elaborare un lutto con una postura positiva: “Se i miei nonni sono stati chiamati a subire quel carico di patimenti, ho il diritto io di non sopportare la crudezza di un documentario che in qualche modo li riguarda?”, ossia chi sono io per girarmi dall’altra parte e non testimoniare con la mia azione di cittadino consapevole il valore di una risposta democratica, antifascista e testimoniale.
Ne esce una storia avvincente, per niente personale anzi classicamente oggettiva, non un solo transfer, ma un vero atto di accusa.