(di Paolo Petroni) ‘Aida’ fa parte ”di quel piccolo gruppo di opere che da oltre un secolo continuano a essere molto poplari, ma anche giustamente apprezzate da musicisti, critici e musicologi” tiene a precisare Edward W. Said (1935 – 2003), grande intellettuale palestinese esiliato sin da ragazzo in Egitto e poi negli Usa dove, naturalizzato americano, formatosi a Priceton, ha insegnato alla Columbia University. Lo fa in questo suo ”CULTURA E IMPERIALISMO” (FELTRINELLI, pp. 504 – 39,00 euro – Traduzione di Anna Tagliavini e Stefano Chiarini) analizzando l’influenza che tale opera ha vuto sulla cultura europea, confermando l’immagine dell’Oriente quale ”luogo essenzialmente esotico, distante, antico, nel quale gli europei possono esibire tutta la loro forza”.
Quello su Aida è uno dei capitoli del grosso volume dedicato dallo studioso a ”Cultura e imperialismo” che indaga la letteratura e la cultura come veicolo di consenso nel progetto coloniale dell’occidente. E ad attirare di più la sua attenzione è proprio la figura della protagonista, intorno alla quale ”c’è una strana falsità – dice, citando il musicologo Joseph Kerman – che non è certo tipica di Verdi e che richiama Mayerbeer in un modo che risulta più fastidioso di tutto l’apparato di opera lirica, i trionfi, le consacrazioni e le orchestre di ottoni”.
Aida fu scritta, per l’eccezionale compenso di 150mila franchi in oro per l’opera del Cairo, dove debuttò il 24 dicembre 1871, in un Egitto, ”tecnicamente parte dell’impero ottomano, ma che stava cercando gradualmente di entrare, con un ruolo dipendente e sussidiario, nell’orbita europea”. E Said vuole portare i lettori a considerare una serie ”di aspetti di Aida che non si possono ignorare, benché li si trascuri sistematicamente. L’imbarazzo suscitato dall’Aida deriva dal fatto che non si tratta tanto di un’opera sul dominio imperiale, ma che è parte del dominio imperiale”. Così ricostruisce la storia del soggetto e del suo autore, Auguste Mariette, egittiologo che risente dell’idea che di quel paese e cultura ci si era fatti in Francia da Napoleone in poi, facendone, come scrive nel suo ‘La rinascenza orientale’ Raymon Schwab, ”la prima e fondamentale influenza dell’Oriente sull’Occidente”.
Siamo in un’epoca in cui contemporaneamente le celebri Espopsizioni Universali europee ”immaginando l’aspetto dgeli antichi egizi secondo la moda allora corrente mostravano modelli di villaggi, città, tribunali coloniali, sottolineando in tal modo come queste culture, secondarie o minori, fossero manipolabili”. Così per Said accadde con i costumi e le scene firmate da Mariette per l’Aida con gli originali faraonici trasformati nel loro grosssolano equivalente moderno: ”il risultato fu un Egitto orientaleggiante a cui anche Verdi, dal canto suo, era arrivato con la sua musica” e cita come esmplari, da questo punto di vista, il canto della sacerdotessa e la danza rituale nel II atto. ”Le sacerdotesse verdiane sono l’equivalente delle danzatrici, delle schiave e concubine nell’harem che prevalgono in Europa nell’arte di metà Ottocento”. E prosegue analizzando nei particolari, creazione dell’opera, musicale e spettacolare, il libretto e la trama, i personaggi arrivando a vedere in Aida ”una sorta di arte da museo, il cui rigore e rigida cornice, richiamano, con logica implacabile e funerea, un preciso momento storico e una forma estetica datata, uno spettacolo imperialista concepito per distinguersi e per fare colpo su un pubblico quasi esclusivamente europeo”.
Said, parlando di immagini del passato e di cultura e resistenza, affronta in questo suo studio vicende storiche, culturali e sociali, e per la letteratura si sofferma in particolare su Conrad, Austen, Camus, Yeats. Così spiega che ”ogni singola opera è vista qui sia dal punto di vista del suo stesso passato che da quello delle interpretazioni successive”, per ”far luce su alcune categorie, con cui interagiscono… che presuppongono una cultura occidentale sostanzialemnte indipendente dalle altre culture”, ovvero per dimostrare come quella cultura, ”lungi dall’essere autonoma e lungi dall’essere pura e fissata nel tempo, è un’ibrido in cui la superiorità razziale fa parte almeno quanto il talento artistico, l’autorevolezza politica e quella professionale”.