(di Chiara Venuto) “Tutti gli uomini hanno il privilegio di potersi far ascoltare da un altro uomo”. A pensarlo è Irene Facheris, formatrice, attivista, scrittrice e podcaster. Da quasi dieci anni è conosciuta sul web come ‘cimdrp’ ed è una delle divulgatrici italiane su temi di uguaglianza di genere e lotta femminista più seguite. A renderla celebre, il suo progetto ‘Parità in pillole’, oggi concluso da tempo. La sua ultima avventura, invece, è il podcast ‘Tutti gli uomini’, che nasce per aggiungere uno dei tasselli che ancora mancano al femminismo italiano, ovvero la capacità di comunicare al mondo maschile in modo efficace, senza ricevere disinteresse, giustificazioni o persino insulti in cambio.
Dal rapporto con le emozioni alla ‘chat del calcetto’, Facheris ha parlato con 18 uomini che fanno parte della sua vita per far loro dire “cose che potessero ascoltare altri uomini” e far scaturire in loro delle riflessioni. “Non è mai semplice da ascoltare quando qualcuno ti dice che stai sbagliando – spiega all’ANSA – però è più accettabile se lo fa uno che è simile a te, che dice ‘guarda che io ho fatto gli stessi sbagli'”. Il ruolo degli uomini nel femminismo per lei dev’essere proprio questo: “sento uomini che si lamentano del fatto che le femministe li lasciano fuori, ma non è che gli spazi femministi devono fare spazio agli uomini – commenta -. Sono gli uomini che devono prendere i propri spazi, che sono la maggior parte, e renderli femministi”.
Un lavoro complesso. Anche perché molti “son convinti che, siccome loro non hanno mai molestato, stuprato o ucciso nessuna, allora va tutto bene – prosegue – e invece non ci si rende conto di quanto sessismo benevolo, quante micro-aggressioni si facciano quotidianamente nei confronti delle donne”. È come se ci fosse “una gara a chi si tira fuori – aggiunge Facheris – io diffido di tutte quelle persone che fanno parte di una categoria non marginalizzata che, quando possono aprire bocca, la prima cosa che dicono è ‘io sono bravo'”.
Per Facheris, però, una trasformazione culturale è necessaria anche per l’eliminazione della violenza di genere, di cui oggi si celebra la giornata internazionale: “non penso si possa immaginare di riuscire ad applicare in maniera corretta le leggi che ci sono e, magari, migliorarle se prima non c’è questo cambiamento – continua – non stupisce che non ci sia cultura sul tema perché non ne parliamo mai, non facciamo educazione sentimentale nelle scuole perché abbiamo paura del ‘gender’ e continuiamo a crescere generazioni che non sono preparate a gestire queste cose”.
Come con ogni attivista che si rispetti, più si parla di ciò che bisogna fare e, magari, non viene fatto, più la conversazione si fa politica. “La nostra società è patriarcale – attacca la podcaster, usando una delle parole su cui si discute di più – ma le istanze che riguardano le donne vengono utilizzate per sviare l’attenzione: non si parla di patriarcato per parlare di patriarcato, ma si parla di patriarcato per dire che il problema sono gli immigrati”.
Fatto sta che, però, negli ultimi anni l’attivismo è diventato sempre più accessibile a tutti, e così la formazione su temi sociali, come quella fatta da Facheris. “Se io leggo un post di un attivista, attraverso questo mi informo – aggiunge – il mio sguardo sul mondo cambia perché ho scoperto delle cose che prima non sapevo e ho potuto farlo gratuitamente e in maniera accessibile. Chi dice che l’attivismo online non è la stessa cosa di quello offline secondo me cerca di fare una conversione tra like e poi gente in piazza”, ma “non ci si rende conto che moltissime persone esprimono il loro dissenso online, cercano di creare rete e proporre dei contenuti perché normalmente non possono farlo, ma noi partiamo dal nostro sguardo di persone che in piazza possono andarci mentre la piazza non è accessibile economicamente, perché ci sono barriere architettoniche, non lo è per persone neurodivergenti”.
La diffusione della cultura attraverso l’attivismo online, insomma, è diventato un modo ‘dal basso’ e facilmente fruibile per esprimersi. D’altronde, conclude Facheris, “alla politica non gliene frega un cazzo della piazza piena, non mi sembra che le piazze piene facciano cambiare idea ai vertici. E la responsabilità di portare le persone a manifestare dovrebbe essere della politica, ad esempio dell’opposizione, se non piacciono le cose che sta facendo chi è al governo”.