Per Gentile concessione di Sperling&Kupfer pubblichiamo un brano di ‘Io sono Marie Curie’ di Sara Rattaro che sarà in libreria il 5 marzo.
“Parigi, 1894-1896 Non conobbi Pierre Curie per caso, ma grazie all’unico motivo per cui avrei potuto incontrarlo. Io ero in cerca di spazio e lui ne aveva più del necessario. Era il 1894 e io stavo preparando la tesi per la mia seconda laurea. L’università mi aveva concesso l’utilizzo di un minuscolo laboratorio dove poter eseguire i miei esperimenti e io trascorrevo le giornate a urtare i muri e a far cadere gli oggetti.
Finché, durante una tranquilla serata trascorsa in compagnia di due vecchi amici, il destino batté il suo colpo.
Josef Kowalski, un fisico polacco in luna di miele a Parigi con la moglie, che conoscevo da quando eravamo ragazze, pronunciò una frase, che per me fu un inizio: ‘Ci sono i laboratori di Pierre Curie…’.
Il giorno che decidemmo di incontrarci, Pierre fu puntuale e la mia prima impressione fu che sembrasse molto più giovane. Poi, arrivò un lampo e io intravidi l’ordine sublime dei suoi pensieri. Mi inebriò, spiegandomi il processo degli studi a cui si stava dedicando e la precisione delle misurazioni che ricercava. Nella mia testa si aprì un campo di possibilità, fu la chiave che fece scattare il lucchetto dentro di me. Le sue parole fecero eco ai miei pensieri, alle visioni che mi sfuggivano e che non riuscivo ancora ad afferrare. Fu come trovarmi davanti all’unica persona al mondo capace di capirmi e l’idea di aver trovato un interlocutore mi trasformò in una donna nuova.
Da quel momento, per quanto ci provassi, non avrei mai smesso di pensare a Pierre Curie, un nome così bello da non poter essere pronunciato per troppo tempo.
Mi invitò a cena. Una cena breve, durata tutta la sera. Lo ripetemmo spesso negli anni successivi, perché il tempo correva veloce quando stavamo insieme e noi lo sbranavamo.
Avevamo bisogno di raccontarci e di farci domande e di ripetere le parole che ascoltavamo l’uno dell’altra. Il bisogno reciproco fu subito evidente, come il rossore su un viso.
Una sera, usciti dal ristorante, camminammo immersi in una Parigi che mostrava tutta la forza del progresso.
La magia dell’elettricità che illuminava il buio, e di cui noi avremmo visto la vera luce, ci sembrava una metafora di quello che provavamo. Eravamo nel posto giusto, circondati da mille pensieri, mille nuovi argomenti e sempre tante idee. Quel posto, per quanto faticassi ad ammetterlo, per me era accanto a Pierre.
Rientrata a casa, non riuscii a chiudere occhio. Fuori c’era la primavera piovosa di Parigi e l’odore metalli co delle strade bagnate. Camminavo intorno al letto, scontrando lo spigolo più volte. Lui era un uomo, e io lo desideravo e lo temevo allo stesso tempo.
Avevo giurato che mai più avrei permesso a qualcuno di impadronirsi di me. L’umiliazione che avevo provato molti anni prima, quando Kazimierz aveva detto alla sua famiglia che mi avrebbe sposata, bruciava ancora sotto la pelle.
‘L’istitutrice? Vorresti sposare una donna di così umili origini?’ aveva risposto suo padre.
Una manciata di parole ingiuste che cambiarono la mia vita e anche me. Kazimierz aveva obbedito al volere dei suoi genitori e senza spiegazioni, impaurito come un cucciolo, si era allontanato dopo mesi di promesse e verità nascoste. Mi ero sentita oppressa come i piedi che devono sopportare scarpe troppo strette e stupida come chi non capisce, come chi non vede. Quel giorno avevo promesso al mio mondo che per l’amore non avrei più trovato spazio.
Poi, arrivò Pierre e con lui la luce del giorno che si mostra nel cielo. Ma io non potevo cedere, io dovevo solo tornare a lavorare e mantenere la mia parola”.