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James Augustine Aloysius Joyce nasce il 2 febbraio 1882 a Dublino in Irlanda, uno dei più grandi autori di narrativa del XX secolo.
Sebbene non abbia scritto molto, è stato molto importante per lo sviluppo della letteratura del XX secolo, soprattutto della corrente modernista. Particolarmente in relazione alla sperimentazione linguistica presente nelle opere, è ritenuto uno dei migliori scrittori del XX secolo e della letteratura di ogni tempo.
Il suo carattere anticonformista e critico verso la società irlandese e la Chiesa cattolica traspare in opere come I Dublinesi o Gente di Dublino (1914) – palesato dalle famose epifanie – e soprattutto in Ritratto dell’artista da giovane (1917), conosciuto in Italia anche come Dedalus.
Il suo romanzo più noto, Ulisse, è una vera e propria rivoluzione rispetto alla letteratura dell’Ottocento, e nel 1939 il successivo e controverso Finnegans Wake (“La veglia dei Finnegan” o più propriamente “La veglia per i Finnegan”) ne è l’estremizzazione. Durante la sua vita intraprese molti viaggi attraverso l’Europa, ma l’ambientazione delle sue opere, così saldamente legata a Dublino, lo fece diventare uno dei più cosmopoliti e allo stesso tempo più locali scrittori irlandesi.
Appartiene ad una famiglia della buona società di Dublino, le cui condizioni finanziarie vanno però via via declinando fino al punto che l’indigenza lambisce la famiglia Joyce in modo preoccupante. I suoi genitori lo iscrivono ad una scuola cattolica, precisamente presso un istituto di gesuiti, il Clongowes Wood College (ma studierà anche al Belvedere College, sempre di proprietà dei gesuiti).
Successivamente, iscrittosi all’università di Dublino, si laurea in lingue moderne. In questi anni inizia a manifestare un carattere anticonformista e ribelle. Difende con articoli e conferenze il teatro di Ibsen, considerato ai tempi immorale e sovversivo e, trascinato dalla sua foga idealista, pubblica “Il giorno del Volgo”, un pamphlet nel quale si scaglia contro il provincialismo della cultura irlandese.
Nel 1904 scrive il saggio autobiografico “A portrait of the artist” che decide poi di trasformare nel romanzo “Stephen Hero”: questo “canovaccio” costituirà il nucleo centrale del successivo “Ritratto dell’artista da giovane“. L’educazione estetica del giovane Stephen Dedalus è il pretesto per proporre un romanzo nuovo, nel quale l’interesse naturalistico del ritratto biografico del personaggio è contemperato da un acceso lirismo visionario, che non disdegna gli apporti delle filosofie, delle poetiche, e delle concezioni uniformate ad un punto di vista franto e poliedrico.
E’ un romanzo di formazione e, nello stesso tempo, uno splendido affresco estetico-metafisico, nel quale svolge un ruolo essenziale la ricerca del bello, integrata dall’ansia conoscitiva verso il problema cruciale dell’esistenza: la verità. Stephen Dedalus non è un semplice personaggio, ma è grande metafora dell’artista moderno, anticonformista e ribelle al dogmatismo sociale, espressa mediante una complessa analisi psicologica degli stati d’animo del protagonista.
Nel frattempo, compone anche molte delle poesie, raccolte in seguito raccolte nella silloge dal titolo “Musica da camera”. L’opera, però, è ancora attardata su modelli romantici e tardo-romantici. Sul giornale “Irish Homestead” escono tre racconti poi compresi in un altro fondamentale libro di Joyce, “Gente di Dublino”.
Incontra Nora Barnacle, proveniente dall’Ovest dell’Irlanda e in cerca di un lavoro come cameriera a Dublino poi sua compagna per tutta la vita.
Si trasferisce con l’amico scrittore Oliver St. John Gogarty (colui che sarà poi rappresentato come Buck Mulligan nell’Ulisse) nella torre martello di Sandycove ma vi resta solo una settimana. Nel 1902 è richiamato in Irlanda dalla morte della madre e, costretto a guadagnarsi da vivere, insegna per qualche tempo in una scuola di Dublino, per poi trasferirsi a Trieste dove, fra l’altro, conosce anche Italo Svevo, all’epoca solo un oscuro impiegato che si dedicava con assiduità alla scrittura, seppur in un sostanziale anonimato.
A Trieste proseguono le esperienze di insegnamento ma, irrequieto, presto sente che quella città gli sta stretta e preferisce trasferirsi a Zurigo. Nel 1922, invece, si stabilisce ancora una volta a Parigi e qui rimane fino al dicembre 1940, quando l’avanzata vittoriosa dei nazisti lo costringe a rifugiarsi nuovamente a Zurigo.
In una lunga vacanza a Roma lavora come corrispondente estero di una banca e progetta, senza iniziare a scriverlo, un racconto di vita dublinese, primo germe dell’Ulisse.
Quest’ultima è la seconda grande opera joyciana. Il romanzo si presenta come un’epica al contrario, in cui il protagonista si perde nel caos della Dublino d’inizio secolo compiendo “gesta” banali ed irrilevanti.
Scritto tra il 1914 e il 1921, il capolavoro rappresenta una rivoluzione estetica, all’interno della quale matura una prospettiva completamente diversa delle forme, delle strutture e dei contenuti del romanzo. L’opera è fortemente autobiografica e nello stesso tempo obiettiva, nel momento in cui pone un parallelismo tra le vicende del mito, nell’Odissea, e le vicende reali della vita dublinese, filtrati attraverso un gusto personale per la filosofia, l’arte, la storia del linguaggio e le sue variazioni.
Dal punto di vista tecnico, l’uso sistematico dello “stream of consciousness” (ossia “flusso di coscienza” o monologo interiore), perviene a livelli estremi ed insuperabili. Nell’Ulisse la ricerca estetica e sperimentale scompone le “strutture profonde” della parola, con un lavorio “ingegneristico” sulle modalità eclettiche della comunicazione linguistica. dalla struttura dell’inglese e tocca le radici arcaiche del linguaggio.
Bisogna tener presente, per inquadrare Joyce, che la prima parte del Novecento rappresenta un’epoca di sperimentazione in tutti i campi della cultura. Nella narrativa la ricerca di nuove forme espressive conduce i romanzieri, appunto, ad un interesse nuovo nell’interiorità dei personaggi, nel contenuto e negli aspetti formali del romanzo.
Sperimentando nuove forme i modernisti concentrano la loro attenzione sui processi mentali che si sviluppano nella mente umana, cercando di esplorarli.
Le tecniche usate per esprimere il flusso di coscienza includono il “flash back”, la storia nella storia, l’uso di similitudini e metafore e di una particolare punteggiatura. Il metodo utilizzato disdegna spesso i passaggi logici, la sintassi formale e la punteggiatura convenzionale proprio per riflettere la sequenza caotica dei pensieri.
Sul piano della vita privata, invece, una grave malattia agli occhi che per alcuni periodi lo prova quasi completamente della vista, lo costringe a numerosi interventi chirurgici. Viaggia frequentemente tra Inghilterra, Svizzera e Germania. Frammenti di “Finnegans Wake”, l’estremo capolavoro, sono pubblicati dalle riviste letterarie d’avanguardia, suscitando immancabilmente giudizi perplessi e polemici.
Iniziano a manifestarsi i primi disturbi mentali della figlia, ma Joyce vorrà tenerla sempre con sé, lasciandola in clinica solo nei momenti di crisi più violenta.
Nel 1939 viene finalmente pubblicato il Finnegans, una evoluzione monumentale dei temi strutturali e sovrastrutturali dell’Ulisse, ispirato alla filosofia della storia di Giambattista Vico.
Dopo l’inizio della guerra Joyce si trasferisce a Zurigo dove morirà in seguito ad una operazione chirurgica nel 1941.