Più lontano dal mare e più defilato rispetto alla celebre piazza Unità, il caffè San Marco, che quest’anno compie 110 anni, raccoglie in sé l’essenza un po’ contraddittoria di Trieste: città al contempo nostalgica dei fasti asburgici, fieramente diversa dal resto del Paese ma simbolo dell’unità d’Italia.
Aperto nel 1914 come luogo di incontro per irredentisti, ora invece è una sorta di reliquia di quel mondo austroungarico contro cui l’originario proprietario si batteva. Se solo poco più di un decennio fa viveva un momento di declino e si era temuto potesse addirittura chiudere, in questi anni lo storico San Marco ha riconquistato una posizione centrale nella quotidianità prima culturale e poi della ristorazione della città. Grazie anche all’intuizione degli attuali titolari (la proprietà è delle Generali) all’interno ha aperto una libreria, si tengono eventi culturali e al fascino che esercitava su scrittori e intellettuali un tempo si è aggiunta l’attrazione per turisti e comuni cittadini.
Entrando nell’elegante locale, sembra di entrare in un caffè letterario viennese: lo suggeriscono gli ampi specchi, i tavolini di marmo, il legno scuro del bancone e degli arredi, le decorazioni con accenti dorati che richiamano il Secessionismo.
Eppure il caffè – come suggerisce il cenno a Venezia contenuto nel suo nome – fu fondato da un istriano con aspirazioni irredentiste, Marco Lovrinovich, e diventò un ritrovo per chi desiderava che la città divenisse parte d’Italia. Tant’è che nel 1915 manifestanti fedeli all’impero vi appiccarono un incendio per vendicarsi dell’entrata in guerra dell’Italia. In seguito, il caffè fu ricostruito, ed è rimasto sostanzialmente identico da allora, con alcuni interventi di restauro negli anni Trenta, e poi nel 1989 che poco hanno alterato la sua immagine. Tra i suoi tavoli scrittori e intellettuali triestini come Tullio Kezich, Fulvio Tomizza e Claudio Magris (il San Marco è noto come il suo “ufficio”) hanno sempre trovato un porto sicuro dove passare le ore a leggere e scrivere sorseggiando un nero o bevendo uno spritz e assaggiando una sacher, un presnitz o un rigojanci. Perché qui lo spirito mitteleuropeo non sopravvive ma permane.