Nato e cresciuto con i film al cinema, lui stesso praticante con grande successo, Carlo Verdone si è ad un certo punto incuriosito come tanti delle serie tv, la cosa più vicina ad un romanzo per immagini. E non se n’è più allontanato, confessando anche di fare le famigerate abbuffate (binge watching) e lui stesso mettendosi all’opera con Vita da Carlo. È con passione il testimonial del libro “per una buona degustazione” scritto dal critico cinematografico Mario Sesti.
“Come di fronte ad una sterminata cantina, cerca di indicarci quali sono le bottiglie migliori e perché (i parametri principali: colori, aromi, gusto ed equilibrio dunque genere, racconto, recitazione, messa in scena). Ma spesso, fateci caso, la passione che si avverte nella scrittura, contagia più di qualsiasi valutazione, analisi, interpretazione”, scrive Verdone nell’introduzione.
Nato da un lavoro di più anni per una rubrica settimanale online su ANSA.IT, di segnalazione di serie e film in streaming, attraverso un podcast audio e video (Siamo serie), Le 250 serie tv da non perdere (Fazi Editore) documenta quella che è a livello internazionale a tutti gli effetti la terza Golden Age della tv, dopo quella pioneristica tra gli anni Quaranta e Cinquanta e quella di massima espansione degli anni Ottanta.
Siamo di fronte ad una sterminata produzione che è ormai tecnicamente superato chiamare televisiva, visto che si vede con streaming su tv certo ma anche sul telefonino e sullo schermo del pc. Una produzione declinata in mille modi, con centinaia di offerte che sono il nostro dilemma quotidiano quando, aprendo una piattaforma, ci troviamo a scegliere nel mare magnum dei titoli che poi un algoritmo basato sulle nostre scelte precedenti prova ad organizzare per suggerire un percorso.
Sesti ha scelto di non comprendere le docuserie (capolavori come il recente La Seconda Guerra Mondiale: voci dal fronte di produzione inglese o di grande impatto mediatico come Unica con la verità di Ilary Blasi sul divorzio da Francesco Totti) né le serie d’animazione, entrambe per il loro valore meriteranno una selezione dedicata. La selezione ha privilegiato, per una scelta puramente critica – spiega Sesti – “il formato ‘serial’, ovvero quello in cui la cosiddetta narrazione ‘orizzontale’ che si dispiega e anima tutta la catena episodica della stagione di una serie, possiede un disegno di robusta struttura in grado di provvedere a una narrazione virtualmente illimitata, a una famiglia articolata di personaggi e alla trasparenza della totalità di un mondo (una società, un’epoca, una comunità) cui la lunghezza stessa della narrazione riesce a conferire continuità, unità, complessità, ricchezza, alta definizione drammatica come accade nella migliore letteratura. Per queste ragioni – aggiunge – non ci sono tanti ‘procedural’ o ‘sitcom’ che privilegiano invece la narrazione autoconclusiva a ogni episodio”. Oltre a descrizioni, cast, note sulla produzione ci sono anche le valutazioni critiche.
Le serie mitiche? Eccone dieci, a giudizio di Mario Sesti.
The Wire di David Simon, Mad Men di Matthew Weiner, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, Better Call Soul di Vince Gilligan e Peter Gould, Boris di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Manzi, Carlo Mazzotta, Luca Vendruscolo, Breaking Bad di Vince Gilligan, Le Bureau – Sotto Copertura di Eric Rochant, The Crown di Peter Morgan, The Marvelous Mrs. Maisel di Amy Sherman – Palladino, Fleabag di Phoebe Waller-Bridge.