(dell’inviata Alessandra Magliaro) Tahar Ben Jelloun, lo scrittore marocchino premio Goncourt, che risiede in Francia e che con i suoi best seller come Il razzismo spiegato a mia figlia è una delle voci ascoltate in Europa, è decisamente affranto.
Nel novembre scorso è uscito una sorta di pamphlet, L’Urlo (La nave di Teseo), un fiume di parole uscite a getto dopo il massacro di Hamas nei kibbutz di Israele del 7 ottobre, parole a caldo, disperate contro l’odio scatenato dai terroristi e la vendetta del governo israeliano. E’ passato quasi un anno, siamo ancora a parlare di tentativi di tregua, neppure di pace, e l’area medio orientale è costantemente sull’orlo della guerra finale. Al Lido di Venezia, presidente onorario di Bookciak azione!, ospite alle Giornate degli autori, Tahar Ben Jelloun riflette sul contesto attuale in una intervista all’ANSA.
“Sono in una fase di disperazione come credo tutti noi, mi sento senza speranza: Netanyahu continua a bombardare Gaza e fare incursioni in Libano e io sono sempre di più convinto che Hamas il 7 ottobre abbia aperto le porte della Palestina per autorizzare Israele a massacrare il popolo palestinese. Ma una cosa è emersa: la questione della legittimità di uno stato palestinese è, basta vedere le innumerevoli manifestazioni nel mondo, al centro dell’attenzione internazionale come mai nella storia. E alla resistenza del popolo palestinese va la mia totale ammirazione”.
Cambierebbe qualcosa di quel libro? “Penso che Netanyahu non ha vinto la guerra, i palestinesi sono là. Il paradosso del primo ministro israeliano è che Israele non potrà mai vincere perchè non si può sterminare un popolo intero”. In questo contesto così disperato uno scrittore, un intellettuale, una voce dalla cultura può servire? “No – risponde Tahar Ben Jelloun – non c’è intellettuale che tenga in questa situazione di odio, il dialogo servirebbe eccome alla pace ma non c’è spazio, è solo la guerra ad occuparlo del tutto”.
Come scrittore culturalmente di quell’area si sente condizionato nel suo lavoro dalla situazione medio orientale? “Totalmente.
Sta per uscire, in Italia sempre per La nave di Teseo, Gli amanti di Casablanca, in cui il protagonista è un pediatra sensibile alla causa palestinese e che ogni anno va a curare i bambini di Gaza, e io mi ci rispecchio molto. Se non fosse stata nel mio cuore Gaza non gli avrei dato tanto spazio nel libro, ma io in verità dall’inizio tra poesie, romanzi e altro sono stato sempre coinvolto nella causa”. Ed oggi? “Dopo una vita di grande coinvolgimento guardo in faccia la realtà ed è brutta, sono disilluso totalmente sulla pace, l’unica cosa che mi sostiene è l’ammirazione per il popolo palestinese che non vuole morire”.
E’ infastidito dalla richiesta dei media di intervenire sul tema, in Francia come in Italia? “Si ma è colpa mia – risponde con franchezza – non sono uno scrittore isolato nella propria stanchezza, mi sento un cittadino impegnato e non certo indifferente anzi piuttosto ossessionato da quello che succede”.
Che finale vede per questa tragedia? “Non lo so davvero, se non si ferma questo ciclo che vede anche americani e inglesi come fornitori di armi per Israele, davvero non so. Forse Dio lo sa”.