(di Mauretta Capuano) Arriva in Italia l’americana Temim Fruchter, scrittrice ebrea queer non binaria antisionista, con il suo romanzo d’esordio Città che ride pubblicato da Mercurio nella traduzione di Gabriella Tonoli.
La scrittrice, che vive a Brooklyn, la sera dell’11 luglio salirà sul palco, al Palatino, del Festival Letterature a Roma per cui ha scritto l’inedito La scatola delle lettere (The Box of Letters).
Nel suo primo fortunato libro Fruchter intreccia con grande abilità le storie di quattro generazioni di donne e del loro incontro con un enigmatico messaggero divino proteiforme che viaggia attraverso i secoli. Shiva Margoli, 32 anni, sta vivendo il dolore della recente morte del padre e della fine di una relazione e impara ad abbracciare la sua identità di donna queer. Cercando di dare un senso a ciò che le è accaduto, Shiva intraprende un viaggio attraverso il passato nascosto delle tre generazioni di donne che l’hanno preceduta, scoprendo i segreti che attraversano un secolo di storia ebraica. Città che ride è popolata da messaggeri, guaritori e spiriti, tra tradizione e folklore ebraico.
Shiva studia e osserva servendosi di immagini e di parole che attraversano la storia collettiva per poter ricostruire quella della propria famiglia. La sua curiosità si scontra continuamente con il silenzio della madre Hannah e la porta a iscriversi a un master in studi ebraici alla New York University. È grazie alla ricerca accademica che si imbatte in figure come Esther Kreitman, Isaac Bashevis Singer e soprattutto S. Anski, autore de Il Dibbuk, un dramma teatrale su un demone errante della tradizione mistica yiddish. Un percorso che la porterà in Polonia, proprio a Ropshitz, dove tutto ebbe inizio.
Fruchter, che è co-conduttrice della Pete’s Reading Series di Brooklyn e ha conseguito un master in Narrativa presso l’Università del Maryland solleva domande profonde su come interagiamo con il nostro passato e su come questo plasmi il nostro presente e futuro. Città che ride cerca di svelare i meccanismi che si celano dietro ai traumi generazionali e alla costruzione della propria identità.
Nell’inedito La scatola delle lettere, anticipato dall’ANSA, c’è la genesi di tutto questo con al centro la memoria e le radici.
“Diversi anni fa, io e mia madre stavamo guardando una foto della mia nonna materna ventenne. Nell’immagine, mia nonna è una vera bellezza, vestita in modo impeccabile con un pizzico di vecchio glamour hollywoodiano, le labbra truccate e ammiccanti, come se avesse un segreto che non svelerà mai. Rimasi subito ipnotizzata da quella fotografia, e non solo per il modo in cui l’obiettivo sembra aver catturato alla perfezione la malizia e il carisma della mia enigmatica nonna da giovane. Era anche che, da femme queer – da persona che si aggira per il mondo con abiti spettacolosi e abbondanti, sempre incline alla malizia queer e agli eccessi – avevo riconosciuto qualcosa di me in lei, e qualcosa di lei in me. Quando guardavo furtiva quella sua immagine, mi sembrava una femme queer di un altro mondo, fuori dal tempo. È indubbio che esistano e siano andate perdute molte storie e segreti su mia nonna. Ma in quel momento – e soltanto per un momento – lei prese vita senza bisogno di miei ricordi o di particolari talenti per il dettaglio. Bastava solo la mia immaginazione queer” racconta nel brano che proponiamo per gentile concessione dell’autrice e della casa editrice in anteprima. “Sia chiaro: con ciò non voglio dire -poi sottolinea – che qualcuno dei miei avi sia stato davvero queer. Comunque, se lo fossero stati, è molto probabile che non l’avrei mai saputo”.
Il testo integrale di @Temim Fruchter2024, nella traduzione di Gabriella Tonoli, si può leggere sulla pagina libri di www.ansa.it